Ti racconto una storia, la nostra storia: Narrability

Ti è mai capitato di vivere delle esperienze, che sono talmente dense a livello emotivo, da lasciarti senza fiato, ma talmente arricchito da volerlo raccontare a tutti?
Un’esperienza lunga un’intera giornata, un evento che da anni attendevo: un convegno spettacolare, non solo nel senso che era piacevole da seguire (questo sarebbe riduttivo), ma si trattava di un vero e proprio SPETTACOLO, coinvolgente a 360°.
La pura applicazione dello storytelling, delle scienze narrative, ad un convegno, a degli speech che talvolta capita di seguire sbadigliando. Invece, ti porta in trance narrativa da ascolto: sei fisicamente seduto in teatro, ma contemporaneamente sei in una dimensione parallela, sei dentro la storia che viene narrata da un’attrice, ma sei anche dentro la tua storia, perché sono i tuoi valori, ed è ciò che senti.

Le storie ti guidano, per essere quello che sei. Le storie si mangiano e si bevono. Sono virus che ti entrano dentro con il respiro (Francesca Marchegiano)

E quando finisce il racconto ti ritrovi diverso: il tuo cuore ha battuto all’unisono, allo stesso ritmo di altri cuori; hai sorriso assieme a loro; hai vissuto assieme a loro un’esperienza edificante ed istruttiva. La tua storia si è intrecciata alla loro come fili di lana a formare un tessuto.
E così il maglione che indossi ora lo guardi con sguardo diverso, perché ha una valenza diversa: ora pensi anche al lavoro delle persone che hanno contribuito a crearlo, sebbene sia di fattura industriale.
Si è trattato, più che di un convegno, di una grande storia dello storytelling, della narrazione, una di quelle “storie che ti si attaccano addosso” e come uno scrigno prezioso, racchiude al suo interno tanti altri tesori: storie di pianificazioni strategiche di narrazioni applicate a contesti diversi.
Questo è Live Storytelling.

Ma partiamo dall’inizio, perché chiamare un convegno sullo storytelling, “Narrability”, perché non utilizzare un termine italiano?
Perché i concetti di storytelling e di narrabilità sono difficilmente traducibili nella nostra lingua: non sono contenibili in un vocabolo che abbia una valenza concettuale in Italiano, ci spiega Andrea Fontana presidente dell’Osservatorio di Storytelling. Si è pertanto preferito utilizzare il termine inglese, che racchiude in sé l’essenza della narrazione, ossia:
 
N_2come Now: le narrazioni iniziano da un evento (relazionale o digitale) ben identificabile in uno spazio e in un tempo; tutto inizia da un presente qui e ora

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come Ability: serve un grande competenza settoriale per fare narrazione, sia che si tratti di narrazioni di vita che di impresa

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come Role: ognuno di noi ha un proprio ruolo e i racconti sono racconti di ruolo (come ad esempio il re e la regina, la madre e il figlio, le figure professionali), ruoli che servono a creare un’identità relazionale, che emerge anche quando ci si racconta

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come Row: la narrazione sottende un ordine; occorre mettere in fila gli eventi per poterli raccontare. Ognuno di noi ha una percezione diversa della sequenzialità delle cose, pertanto i racconti possibili sono diversi, le prospettive sono diverse. E se dovessimo tutti quanti mettere in ordine le cose allo stesso identico modo? Ecco formarsi la cultura di una società

A_2come Anywhere: la narrazione è ovunque, dappertutto e da nessuna parte. La narrazione è un “non-luogo”, nel senso che il racconto è basato su un evento avvenuto in un determinato momento storico e in un luogo definibile, ma che ormai non c’è più, è passato. Se la narrazione è ben architettata e raccontata, però, ecco il non-luogo trasformarsi in un luogo e tornare a vivere

B_2come Beauty: la storia, per principio deve essere bella, ci deve essere un senso di narrazione estetica affinché ci sia narrazione. Da sottolineare come il concetto di bellezza non coincida con quello di bontà, in quanto ci sono anche delle storie cattive, ma comunque belle

I_2come Illness: ogni grande narrazione è una risposta ad un disagio, ad un bisogno; è il racconto del male, dei problemi profondi che riscontriamo nella vita. A volte ci sono delle soluzioni. A volte no, ma poco importa, perché la narrabilità è il racconto del dramma vissuto

L_2come Loyalty: il racconto deve essere fedele a se stesso e al proprio pubblico, le grandi narrazioni hanno questa responsabilità; se si tratta di corporate storytelling, deve essere coerente con il brand e la mission aziendale

I_2come Image: un racconto crea immagini e immaginari diversi, scenari alternativi intrisi di simboli e concetti

T_2 come Time: la narrabilità, se è fatta bene, è una macchina del tempo; sottende la capacità di gestire il tempo del racconto, scegliendo tra presente, passato e futuro, di traghettarti in nuove dimensioni spazio-temporali

Y_2come You: la storia importante da raccontare soprattutto per il corporate storytelling è quella degli altri, del pubblico che ci è difronte, di chi ci ascolta.

Ed è quello che hanno fatto anche a Narrability: hanno raccontato una storia, all’interno della quale c’era tante storie avvenute in tempi diversi e in contesti diversi. L’inizio di tutto, però, è stata la mia storia, la nostra storia: “You”.
Fin dal momento dell’iscrizione, infatti, ci hanno invitato a completare un incipit dal titolo “Io sono”, in soli 140 caratteri. Siamo così stati indotti a fare un primo viaggio introspettivo, ad ascoltare noi stessi per raccontare ciò che siamo nella lunghezza di un tweet. Un’impresa ardua quella di racchiudersi in pochi caratteri, ma che segna l’inizio della storia. La nostra storia unica è stata poi condivisa con le altre storie dei presenti attraverso la magia tecnologica (in questo caso la tecnologia RFID -Radio-Frequency IDentification-), che ha portato la narrazione nella realtà.
Ma come? Grazie al badge che ci è stato fornito all’ingresso: al nostro passaggio attraverso un gate uno schermo si illuminava a dare il benvenuto, proiettando la pillola di storia che contraddistingueva la persona, pur rispettandone la privacy. Una sorpresa vedere le proprie parole scorrere davanti agli occhi; la consapevolezza che tra tutte le storie dei presenti c’era anche la tua. C’eri tu, con la tua visione del mondo, con il tuo “Row”, il tuo modo di mettere in ordine la sequenza delle cose e con il tuo “Role”, il ruolo che ti attribuisci nel mondo.

E queste pillole di storia individuale entreranno a far parte di una storia collettiva, di un progetto di ricerca analitica: nelle mani di Alessandra Cosso, infatti, lo storytelling e le fiabe diventano uno strumento per la lettura e l’interpretazione della società, ma anche per entrare nei mondi narrativi che ci abitano, che visti esternamente sembrano semplici e lineari, ma che da vicino si rivelano essere complessi ed articolati. In questo ambito, l’applicazione delle tecniche narrative, con la loro capacità “a simulare i grandi dilemmi della vita umana” (come dice Jonathan Gottschall), aiuta ad apportare degli aggiustamenti e dei cambiamenti al racconto in divenire che stiamo scrivendo fin da quando siamo nati e che è la nostra vita. Si tratta di un racconto che continuiamo a mettere a punto per raccontarci e per prefigurarci destini futuri verso i quali indirizzarci.

Fonte: A. Cosso
Fonte: Alessandra Cosso

Se la storia dà forma e dà senso, quale utilizzo migliore se ne può fare se non laddove c’è un concentrato di storie di “Illness”, dove le persone malate perdono la loro connotazione umana all’interno di Ospedali trasformati in aziende e vengono ridimensionati a dei progetti medici, dei casi, delle terapie. Il loro dramma, la storia del malato e della sua malattia, che spesso frantuma la vita e le relazioni umane e amicali, vengono spazzate via. Una valida soluzione a questo dramma ci è stata suggerita da Micaela Castiglioni, che ci ha presentato la figura del medico narrativo e della medicina narrativa, attraverso la quale il paziente può raccontare la propria storia di malattia e può creare una nuova “Image” della propria vita. Ma in questa narrazione la storia del malato si intreccia con quella del medico: il medico è tenuto ad onorare la storia del malato (L come Loyalty), ad attribuire valore alla storia personale del paziente, a non considerarlo solamente come una cartella clinica. Nella medicina narrativa il medico e il paziente sono uniti nel racconto, perché c’è l’eroe e c’è il suo aiutante a lottare assieme al drago della malattia: le loro storie si attorcigliano ….. come fili di lana ..… seguendo i quali si giunge ad un’altra storia, per fare un tuffo nel passato, nelle radici di un territorio, quello piemontese con il racconto di due realtà diverse. Il primo, Textour, è il racconto d’impresa, di un tessuto vibrante di storie personali intrecciate tra loro. Qui lo storytelling è stato utilizzato per veicolare una situazione potenzialmente critica, un cambiamento: da storie singole di artigiani in proprio ad una identità collettiva, ad una visione condivisa, al fine di ridare dignità ad un territorio, innalzare la propria voce nel mondo e farsi conoscere come una nuova realtà. Ne è nato un progetto di innovazione sociale per recuperare e valorizzare il territorio Biellese dal punto di vista produttivo, culturale e turistico: si tratta di un vero e proprio tuffo nel passato, (T come Time) dove dal qui e ora, si viene proiettati nel passato, attraverso il racconto della storia locale, le visite alle fabbriche che un tempo erano il cuore pulsante di questa società locale, poi abbandonate a se stesse e ora rinate a nuova vita. Un’esperienza coinvolgente e divertente che si snoda sulla Strada della Lana.

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E dalla Strada della Lana, si giunge alla strada del riso vercellese, un altro racconto di valorizzazione di un territorio unico, caratterizzato dal “mare a quadretti”, quello formato dai muretti di terra che dividono le risaie in tanti riquadri regolari, ricoperti dall’acqua per molti mesi. Un’acqua che viene portata fin qui attraverso un canale che già di per sé ha la sua storia, essendo stato voluto e fatto scavare da Cavour. E su queste strade di può addirittura fare il SafaRIsaia: un viaggio in trattore sulle Strade del Riso, un racconto di scoperta per vivere l’emozione della nascita del riso, per annusarne il profumo, gustarne il sapore e per sperimentarlo con tutti i sensi. È il racconto del valore della terra dei propri antenati, di una terra fertile, che ci dà frutti e ci dà sostentamento. Ma non si tratta solo di sostentamento materiale: da essa possiamo trarne anche ispirazione, se impariamo a connetterci con essa, se impariamo ad ascoltarla.

Photo Credits: Fabrizio Contu
Wildlife Storytelling: Diana Bertoldi – Photo Credits: Fabrizio Contu

È l’insegnamento che ci proviene dal Wildlife Storytelling di cui Diana Bertoldi è stata la portavoce. Attraverso il suo racconto visual e verbale ci ha portato in Scozia, dentro Madre Natura, creando in noi un immaginario fantastico (I come Image) e con l’invito viscerale a lasciarsi trasportare dalle sensazioni, immergersi nella bellezza naturale (B come Beauty), abbattendo qualsiasi barriera e preconcetto possa costruire la nostra mente per ascoltare con lo “stomaco”, con tutti i sensi, la storia del Mondo. Così facendo il cuore prende a batte con lo stesso ritmo di quello della Terra, con un unico ritmo ancestrale …
 … Il battito del cuore … quello della propria mamma … il primo suono che percepiamo quando siamo dentro l’utero materno.

È cullati da questo suono che veniamo accompagnati nel mondo. E il senso del ritmo, della musica, assume nella vita nostra vita un ruolo fondamentale in grado di unire le persone: un suono ancestrale composto da sole 5 note, di un’espressività e di un potere senza eguali, come quello della scala pentatonica.

Immaginate quindi il potere del Sound Storytelling, ossia della musica che accompagna gli esseri viventi fin dalla loro vita intrauterina che si fonde con il potere della narrazione di cui la specie umana è intrisa. Un potere senza uguali, in grado di modificare la propria storia, il proprio immaginario.
Un esempio?
Proviamo a modificare eventi, tempi, musiche di un film e guardate cose ne potrebbe risultare …

 

Ma le storie di quella giornata non si esauriscono qui …

 

 

3 thoughts on “Ti racconto una storia, la nostra storia: Narrability

  1. Magnifico resoconto.
    Grazie per averlo condiviso. E’ stata una giornata potente e illuminante, bello averne fatto parte e ancora più bello avere scritto la prima frase di quella che – spero – sarà una bella storia.

    1. Grazie a te Antonella per il commento.
      Sono certa che sarà una bellissima storia. E se non lo fosse, possiamo sempre prefigurarci altri destini 🙂

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