L’impatto dello storytelling sull’esperienza di Brand

I racconti ci affascinano: è innegabile. Qualunque forma assumano, che sia un racconto orale, un libro, un film, una serie tv, uno spot pubblicitario o lo storytelling di un’impresa, se la storia è ben raccontata finisce che ci abbandoniamo ad essa, lasciandoci sprofondare dentro la narrazione fino a sentircene parte, a vestire i panni del protagonista nel quale ci identifichiamo e a provarne le stesse sensazioni ed emozioni.

Il potere del racconto sta proprio nell’esperienza coinvolgente che ci consente di vivere, delle sensazioni che lascia dentro di noi, che ci restano appiccicate addosso e che sono lì, pronte ad affiorare, appena avvertiamo un qualcosa che ne riattiva il ricordo. Anche a distanza di tanti anni.

Sì perché una storia in grado di emozionarci, di coinvolgerci resta più a lungo nei nostri ricordi, capace com’è di attivare punti diversi del cervello, radicandosi nel profondo della nostra mente. È così che risvegliando una piccola sensazione, si ridestano tutti i ricordi legati a quell’evento, come una reazione chimica causata da un piccolo innesto.

Questo accade anche quando si ha a che fare con le narrazioni che provengono da quelle aziende che comunicano con il proprio pubblico in modo autentico e credibile, non ingannevole, veicolando messaggi e valori e che consentono al loro pubblico di immedesimarsi nel racconto di Brand.

L’esposizione a questi racconti porta con sé delle conseguenze, come la propensione ad acquistare un prodotto, simbolo tangibile del brand, o una migliore brand awareness, al punto da invogliare i consumatori a parlarne, trasformandoli in ambassador naturali, portatori, a loro volta, di un proprio racconto basato sulla loro esperienza,  reale o virtuale che sia, dell’impresa o dei suoi prodotti.

Permane però ancora molta reticenza nel credere alla capacità dello storytelling d’impresa di apportare questi microcambiamenti nelle persone. Infatti sono ancora pochi gli studi (o i risultati sono stati diffusi raramente) volti a misurare l’impatto economico dello storytelling sul comportamento del proprio pubblico e tali da rispondere alla domanda su quanto le narrazioni generate da un’impresa siano in grado di influire sulle persone, al punto da invogliarle ad acquistare il prodotto.

Per rispondere a una tale plausibile domanda, è stata condotta una ricerca, avvalendosi di un approccio metodologico scientifico, ma i cui risultati non possono essere generalizzati, data la limitatezza numerica del campione intervistato: si tratta di una ricerca basata su interviste in profondità, in grado di dimostrare però che le storie influenzano l’esperienza di brand.

Il Brand

Il Brand scelto per effettuare questa ricerca è appartenente al settore cosmetico: si trattava di un brand non ancora commercializzato nel Paese oggetto d’indagine, la Finlandia, ma che in altri mercati si posizionava su una fascia di prodotti di alta gamma. Inoltre, il brand scelto utilizzava già lo storytelling per la propria comunicazione: la strategia di marketing di questa azienda si avvaleva di una narrazione d’impresa e dei singoli prodotti, del racconto orale dei venditori rivolto direttamente ai clienti, rafforzato dagli stores: i negozi erano stati progettati appositamente per supportare e accrescere il racconto di brand.

Anche il packaging dei prodotti era coerente con questa linea strategica: la semplicità della confezione, realizzata in plastica riciclabile, e l’essenzialità delle informazioni riportate sulle etichette (quelle previste della legge) aderivano al racconto di elegante semplicità, focalizzando l’attenzione del cliente sui propri valori di marca e sulla storia dell’azienda, anziché sulla funzionalità del prodotto stesso.

 

Metodologia

Lo studio è stato realizzato intervistando un campione rappresentativo del pubblico di riferimento, quello degli altri Paesi dove il brand era già presente: donne; di età compresa tra i 25 e i 40 anni; residenti nella capitale; che non avevano una conoscenza pregressa del brand.

Il campione è stato poi diviso, in modo statisticamente casuale, in due parti eguali: 10 intervistate sono state invitate a leggere la storia del brand, contenente anche i valori nei quali crede l’impresa, e sono state mostrate loro le immagini degli store attraverso i quali si vendevano i prodotti. L’altra metà del campione, invece, non è stato esposto al racconto del brand.

A tutte le intervistate sono stati poi fatte testare delle creme prodotte dall’azienda e successivamente sono state realizzate le interviste in profondità.

La traccia dell’intervista prevedeva anche di esprimere il loro parere in merito al prodotto; di definire il brand, associandolo a dei vocaboli; di stimare il prezzo di vendita della crema e, infine, la loro propensione all’acquisto della crema stessa al reale prezzo di mercato.

 

I risultati

Le differenze tra i due sottogruppi d’analisi erano già evidenti dai giudizi espressi sul packaging: la confezione minimal, riportante solo le informazioni richieste dalla legge, realizzata in plastica riciclata per rispettare l’ambiente (uno dei valori nei quali crede il brand) era stata correttamente decodificata dal campione esposto alla storia: ne consegue un immaginario positivo, ossia quello di “un brand di alta qualità, attento alle persone e con una lunga storia”.
I vocaboli associati al brand avevano tutti valenza positiva; il tone of voice utilizzato durante l’intervista e la comunicazione non verbale erano altri elementi in grado di comunicare un atteggiamento molto favorevole nei confronti dell’impresa e dei valori da essa promossi.

La parte del campione non esposta alla storia ha definito il brand associandolo a vocaboli caratterizzati da un sentiment negativo: l’immagine che si sono creata era quella di un prodotto piuttosto scadente, dozzinale, di bassa qualità, old fashion, quindi poco adatto a delle creme cosmetiche.

Ma lo storytelling realizzato dal brand non ha contribuito solo a creare un immaginario positivo del brand e a veicolare correttamente i valori d’impresa: ha influito anche sulla propensione all’acquisto.

Infatti il valore economico attribuito al prodotto da parte delle intervistate, ossia la stima del prezzo di vendita della crema testata, risulta maggiore se si considera il gruppo esposto al racconto del brand: volendo calcolare la media dei valori attribuiti al prodotto si passa dai 18 € del gruppo non esposto allo storytelling del brand, ai 30 € del sottogruppo d’analisi esposto alla narrazione d’impresa.

Per quanto riguarda l’intenzione di acquisto del prodotto, invece, entrambi i campioni hanno dichiarato il proprio interesse ad acquistare la crema al prezzo da loro proposto.

E ancora.
Rivelato il vero valore di mercato del prodotto (31 € per la crema viso; ricordo che la ricerca è stata realizzata qualche anno fa), solo il 50% del campione non esposto, contro il 100% del campione esposto al racconto del brand, si è dichiarato propenso ad acquistare la crema al prezzo di mercato.

 

Conclusioni

Lo studio dimostra come una storia ben progettata, verosimile e autentica sia in grado di creare un immaginario di brand positivo, di focalizzare l’attenzione sui valori sostenuti dall’impresa e di aumentare la propensione del consumatore ad acquistarne i prodotti o i servizi, a volte anche a un prezzo superiore a quello di mercato.

Sicuramente la ricerca presenta dei limiti, in primis per la consistenza numerica ridotta, ma costituisce un ottimo punto di partenza nel dimostrare l’impatto economico dello storytelling.

 

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