Corporate Storytelling: KPI e misurazione di un progetto narrativo

Misurare le performance di un progetto narrativo d’impresa è una sfida non indifferente, per la difficoltà a individuare e utilizzare delle metriche per valutare quantitativamente dimensioni caratterizzate dalla creatività e dalle emozioni. Come fare dunque a quantificare il valore apportato a un’impresa da un progetto di storytelling, sempre che sia in grado di apportarne?

Per rispondere a questa domanda già nel 2009 era stato realizzato un esperimento, “Significant Objects“, basato sull’ipotesi che il valore di un oggetto possa essere incrementato se associato a un racconto. Per verificare l’ipotesi sono stati dunque individuati o acquistati un centinaio di oggetti caratterizzati dall’essere piuttosto insignificanti, poveri nel loro design, di dimensioni contenute e dal prezzo massimo di 4$. Ciascun oggetto è poi stato venduto su e-bay e al posto della scheda con la descrizione del prodotto, era stato pubblicato un racconto inedito, immaginario, appositamente scritto per quello specifico oggetto. I risultati ottenuti hanno confermato le ipotesi di partenza: l’importo totale raccolto tramite asta per la vendita dei 100 oggetti era pari a circa 3.613$, a fronte di una spesa iniziale di 129$, con un incrementato del 2.700% del valore economico attribuito a questi oggetti e dovuto proprio alle storie ad essi associate.

Ma come misurare il valore delle narrazioni, soprattutto quelle di impresa, che prevedono spesso progetti cross-mediali, che attengono alla calda sfera emotiva al punto da apparire azzardato volerle ricondurre alle fredde metriche quantitative dei dati?

La sfida è stata raccolta e affrontata in occasione del Corporate Storytelling Forum 2016, sia nella sua parte introduttiva, sia nella finale tavola rotonda dal tema “Quanto vale un racconto”, su cui si sono confrontati alcuni esperti di diverse discipline: Stefania Romenti, Andrea Fontana, Paolo Iabichino e Michele Tesoro-Tess.

Ricchissimi gli spunti e le riflessioni emerse, che costituiscono però solo la punta dell’iceberg di un fenomeno alquanto più complesso: ogni variabile che costituisce un narrazione d’impresa presenta più metriche che possono essere utilizzate come indicatori di performance, a seconda della prospettiva scelta per analizzare la stessa performance. Inoltre, ogni narrazione ha delle ricadute indirette sia sul lettore che sull’azienda stessa, che andrebbero tenute in considerazione nel misurare i risultati di una narrazione. Ne deriva la necessità di progettare, in concomitanza con la narrazione d’impresa, anche un piano di analisi, che tenga conto di diverse metriche, di strumenti di rilevazione di diverso tipo, avendo chiari gli obbiettivi a cui il progetto narrativo mira e la stessa architettura narrativa. Un’impresa probabilmente ardua, ma indispensabile se viene richiesta la performance di un’attività di comunicazione.

Vediamo brevemente quali dimensioni possono essere prese in considerazione per valutare i risultati, utilizzando come prospettiva l’analisi delle variabili coinvolte in un progetto narrativo e ricordate da Andrea Fontana anche in occasione del Corporate Storytelling Forum: Story, Show, Set, Storyteller, Storylistener (per un approfondimento su questo tema, vi suggerisco il libro “Storytelling d’impresa – La guida definitiva“).

#Story: è il contenuto stesso della narrazione; è il racconto vero e proprio di prodotti, di servizi, di valori, di brand, “che deve risuonare nella persona che ascolta, altrimenti il racconto è destinato a fallire, perché non si crea ciò che identifica una narrazione” (cit. Paolo Iabichino). Il racconto può essere valutato per la sua struttura, che deve essere opportunamente architettata in modo da corrispondere alla caratteristica della fluidità grazie alla presenza di frame narrativi ben collegati tra loro, e per i tratti che costituiscono la narrazione stessa: i punti di svolta che costituiscono l’arco di trasformazione del personaggio, il linguaggio coerente con il racconto, eventualmente le immagini abbinate e la musica scelta devono essere in grado di creare una sinfonia narrativa armonica, unisona. La story deve individuare correttamente e raccontare in modo semplice, chiaro e profondo i temi esistenziali e i valori del proprio pubblico per sintonizzarsi sulle sue stesse frequenze d’onda. Il racconto può essere misurato anche per la sua credibilità: nonostante sappia che non è vero, l’audience vuole crederci, vuole sprofondare dentro la storia, anche se solo per un breve periodo. Per valutare la bontà di un racconto fatto da un’azienda dal punto di vista della narrazione potrebbe risultare utile avvalersi di questa scheda, tratta dal manuale “Storytelling Kit” di Federico Batini e Andrea Fontana.

#Show: è ciò che la narrazione va a creare; è quello che A. Fontana definisce l’animazione culturale che corrisponde all’impatto che una narrazione ha sul vissuto di chi è esposto al racconto stesso; è la capacità del racconto di muovere emotivamente, di emozionare la sua audience. Si tratta dell’intensità del racconto, che tanto più è forte, quanto più la scelta dei riferimenti culturali, dei bisogni a cui la narrazione dà una risposta corrispondono a quelli del pubblico ai quali si rivolge. Le soluzioni prospettate, i nuovi scenari che si prefigurano mediante questa narrazione e l’impatto emotivo che la narrazione genera nel suo pubblico: sono queste le dimensioni che possono (e devono) essere misurate per valutare la bontà (in senso statistico) di un progetto narrativo.

 

variabili-e-metriche-di-un-racconto
#Set: il racconto d’impresa ha una sua dimensione spazio-temporale, in quanto si realizza in un momento ben specifico e in un luogo determinato, che può essere reale o virtuale, assumendo una sua forma fisica, un’ambientazione indispensabile per rafforzare la narrazione, un mondo nel quale il lettore può immergersi, che può essere, ad esempio, il negozio, la boutique, il sito web, ecc. In questo caso si possono dunque misurare dimensioni come l’usabilità (del sito web); l’immaginario di riferimento che viene creato tramite la narrazione; l’esperienza che si fa di un prodotto, di un negozio o del sito, che deve essere emozionale, deve far sentire alla propria audience che è la sua storia ad essere raccontata, permettendole di riconoscersi nella narrazione e invogliarla a tornarvi: i fattori del set da misurare, dunque, sono connessi proprio alla fisicità attraverso cui si incarna il racconto.

#Story-Teller: è il portatore di storie, è il soggetto narrativo che, grazie alle proprie abilità e capacità personali e professionali è in grado di veicolare i contenuti del progetto narrativo, di incarnare il racconto, influendo sull’esperienza che viene vissuta dall’audience. Gli storyteller possono essere sia persone fisiche, che strumenti (cartacei o digitali): in tal caso, le variabili indispensabili per misurare la performance di un progetto narrativo possono essere la diffusione sui media e le specifiche caratteristiche di fisicità dello storyteller.
In riferimento a questa variabile narrativa, Michele Tesoro-Tess distingue tra 3 tipologie diverse di metriche:

  • metriche di output, che misurano l’efficienza del progetto in termini di cose fatte (i diversi elementi che contribuiscono a formare la fisicità della narrazione, ma anche l’estensione del progetto narrativo sui diversi canali)
  • metriche di impatto, che misurano l’efficacia del progetto; sono le metriche di quante persone hanno visualizzato o dichiarano di aver visto un contenuto; quante persone sono state esposte al messaggio o ne sono venute a conoscenza
  • metriche di effetto, misurano le conseguenze del progetto su chi è stato esposto alla narrazione, attraverso, ad esempio, la propensione all’acquisto o a raccomandare l’azienda, il prodotto o il servizio.

Si può anche calcolare il ROI, ossia il rapporto tra il costo sostenuto per il progetto e la quota di “Ambasciatori incrementali”, ossia chi non ha mai acquistato il brand, ma si dichiara propenso a farlo, in seguito all’esposizione al progetto narrativo.

“Nessuna storia vive se non c’è qualcuno che la vuole ascoltare”
(J.K. Rowling)

L’ultima variabile che concorre a creare una narrazione è lo #Story-Listener, che è la condizione sine qua non affinché esista un racconto. Infatti si può progettare un bellissimo racconto emozionante, essere i più bravi narratori, ma se non c’è alcuna persona disposta ad ascoltarlo rimane del tutto inutile.
Sia A. Fontana, che M. Tesoro-Tess, però, hanno evidenziato metriche volte a leggere le performance di una narrazione dal punto di vista degli autori della narrazione stessa, poiché “gli story-listener sono autori o protagonisti del loro racconto di vita” (cit. A. Fontana).
Il ragionamento è corretto, ma la mia anima di ricercatrice non è del tutto soddisfatta: ne conseguono delle personali considerazioni, che possono essere anche un presupposto per un eventuale confronto.

Infatti, considerando;

  • che da numerose ricerche scientifiche effettuate da Stefania Romenti emerge come le caratteristiche che rendono una storia efficace siano individuabili nell’immedesimazione da parte del lettore nella storia
  • che “i brand, i prodotti non devono più fare promesse come accadeva in passato, ma devono riempire di contenuti la vita dei loro lettori” (cit. Paolo Iabichino),
  • aggiungendo anche che le narrazioni sono intrise di valori, di significati, che sono spesso volte ad apportare micro-cambiamenti nella vita delle persone,

ne deriva la necessità di misurare l’impatto che le narrazioni hanno avuto sugli story-listener.
Le dimensioni che devono essere opportunamente misurate attraverso metriche o ricerche ad-hoc, dovranno rilevare scostamenti, cambiamenti nell’atteggiamento, nell’opinione o nella propensione d’acquisto/a consigliare (a seconda degli obiettivi che ci si era prefissati) rilevati tra il pubblico di riferimento, prima e dopo l’esposizione al progetto narrativo; la youtility (del prodotto, del servizio, del brand, ossia il concetto promosso da Jay Baer, per cui il marketing deve essere volto ad aiutare i propri clienti, quelli che pagano. Si può pertanto misurare il grado di youtility percepito dall’audience, l’utilità a trovare un rimedio al “buco dell’anima”, per chiudere il quale è stato architettato. Infine, una dimensione di assoluto rilievo, è la misurazione del grado di immedesimazione con la storia narrata, quanto è stata potente da indurre l’ascoltatore a cadere in trance narrativa, a immedesimarsi con essa.
Cosa ne pensi dunque del punto di vista dello story-listener nella valutazione dell’impatto di una narrazione di impresa sul proprio pubblico?

Arrivederci dunque alla prossima edizione del Corporate Storytelling Forum, per nuovi case studies e altri spunti riflessivi.

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Simona

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